Susanna Trossero

scrittrice

Siamo tutti da tutti influenzabili?

on 22 Gennaio 2019

Uno scrittore francese, ha detto che coloro i quali temendo le influenze vi si sottraggono, fanno tacita ammissione di povertà d’animo perché temono anche la scoperta, il nuovo.

Personalmente mi appare come un giudizio piuttosto severo: in fondo spesso temiamo ciò che è diverso dalle nostre consuetudini – benché ci attragga – perché non vogliamo cacciarci nei guai o dover pagare un prezzo.

Inoltre, a volte, proteggersi dall’influenza di qualcuno è questione di sopravvivenza!

Ma quando c’è chi è in grado di influenzarci “negativamente” – secondo il nostro metro di giudizio -, che cosa avviene in realtà e quanto quel “qualcuno” può essere rivestito di tanta responsabilità?

In psicologia, si dice che le influenze agiscono per somiglianza. Le si è paragonate a delle specie di specchi che ci mostrano non come già siamo nella vita quotidiana, non come ci conosciamo già, bensì come noi siamo in modo sotterraneo, latente, non ancora chiaro a noi stessi.

Agire sotto l’influenza di qualcuno insomma, non ci renderebbe deboli, vulnerabili, alla mercé di chi ha una personalità più forte, bensì rivelerebbe chi siamo realmente.

Inquietante, non trovate?

In una lezione di scrittura narrativa, ho evidenziato in classe – a proposito dei personaggi – che protagonisti, luoghi, accadimenti, non restano mai scollegati tra loro né indipendenti.

Non possono, perché ognuno di loro influenza costantemente gli altri, divenendo tassello di una storia.

L’ambientazione per esempio, il luogo in cui il personaggio si muove, influenzerà ciò che fa, come agisce. E, le azioni, influenzeranno ciò che dirà. Tutto ciò, subirà nel complesso, l’influenza derivata dai rapporti con altri personaggi, e così via.

Anche in narrativa insomma, l’influenza di ambiente e frequentazioni ha la sua importanza e crea un filo logico tra le varie componenti di una storia.

Ma, sempre a proposito di quegli specchi, direi che è vero: gli altri sono in grado di influenzare le nostre azioni, il nostro pensiero o il nostro vivere, nella misura in cui noi vogliamo che ciò accada.

Tuttavia non è sempre così semplice.

Un neuroscienziato parigino (Mael Lebreton) ha evidenziato che ciò che altri desiderano o scelgono finisce per diventare necessità personale.

Niente di nuovo, se ci pensate, visto che questo è un meccanismo presente fin dai primi anni di vita: non è forse vero che l’oggetto del desiderio del bambino è sempre il giocattolo di qualcun altro sebbene ne abbia di suoi?

Tutto ciò sta alla base della pubblicità, della moda e non solo. Pare che il cliente sia più attratto da un negozio affollato piuttosto che da uno deserto. “Se ci vanno in tanti significa che ne vale la pena”.

Siamo dunque scimmie oramai ammaestrate, persone attratte dal vivere in gregge piuttosto che desiderose di emergere, pur avendo alternative e sogni tutti nostri?

Ma allora, alla base della tendenza a lasciarsi influenzare non c’è il fascino e l’attrazione per qualcosa di “diverso”, bensì… il timore della mancata approvazione altrui!

E la vita che vogliamo davvero, dove sta?

L’unicità non è una prigione da cui evadere per uniformarsi: prigione è appartenere eternamente a un gregge. Il potere di persuasione e il timore del giudizio rappresentano consistenti bavagli per la nostra volontà, che forte non è mai troppo.

“Per avere in mano la propria vita, si deve controllare la quantità e il tipo di messaggi a cui si è esposti.”
Chuck Palahniuk


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