“Chi comincia ad amare, deve essere pronto a soffrire“. (Antoine Gombaud)
Io sono uno di quelli che restano, che aspettano con pazienza in una forma di lotta silenziosa e arresa, che fingono di non vedere pur di lasciare le cose come stanno. Continuo a mostrare accoglienza perché tu ti senta così male, così in colpa, da smettere.
Ti amo, ti conosco, vivo con te ogni piccola stupida cosa: era ovvio che avrei vissuto con te anche la luce nuova che ti porti dietro e che con me non c’entra niente.
Non voglio sapere chi è, non voglio sapere perché o quando, non sopporterei di immaginarti fino in fondo.
Così invece posso fingere che sia solo un dubbio, un pensiero astratto o malfidato, e andare avanti nell’attesa che tutto torni come prima.
Te l’ho detto: io sono uno di quelli che aspettano. Un senza palle, per chi mi leggerà ridendo della mia debolezza, ma non si ride del dolore perché tocca a tutti prima o poi, e non potete sapere come vi ridurrà prima che accada.
A volte, a non affrontare, tutto si risistema. Ma le parole sfuggite, le confessioni o ammissioni, quelle restano per sempre cambiando le cose. Sono le parole a rompere gli equilibri, e sono quelle non dette a preservarli.
Posso fare a meno della tua sincerità e so che il mio non domandare, facilita il tuo silenzio. Anche questo si chiama equilibrio.
Un giorno tornerai a casa più spenta di quando eri uscita. Delusa da lui, forse tradita dalla falsa magia con cui ti aveva avvolta. Era solo un uomo, niente di speciale.
E con lacrime nascoste ti lascerai andare ai miei abbracci pensando che per fortuna non ho capito.
Pierpaolo
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