Susanna Trossero

scrittrice

Una nota traditrice

Una nota traditrice

Poche strofe, le giuste note, ritmo, parole, una manciata di niente dal ritornello orecchiabile. Un lavoretto riuscito. Pulito.
Il lavoro sporco è la mente a compierlo, in quella malevola elaborazione dovuta alla memoria: una frase scatena il ricordo, le note fanno il resto, tutto il peggio si compie.

Da luoghi oscuri ritorna una giornata di sole, il profumo della gioventù – quella vera, quella stupida, che rende immortali – i capelli pettinati dal vento, visetti come porcellane preziose, voci, risate, ore ricche di un piacevole ozio. E di canzoni. Sì, canzoni.

Inconsapevole del loro valore, le canti alla vita incurante del futuro e senza alcun passato, mentre ciò che conosci di te è soltanto la punta dell’iceberg. Ci sarà tempo per saperne di più, che adesso sia luce, assenza di peso, batticuore a tener svegli la notte, gatti in amore e sorrisi impacciati. Domani dov’è? Lontano e chissà quando arriva.

Domani è la memoria. La memoria che tradisce e ti fa tradire aiutata da acuti e rime. La vecchia canzone che calpesta il prato curato, mettendo al mondo una nuova nostalgia data da improvvise visioni d’insieme: tutto passa in fretta, lasciando scie di incompiuto alle spalle.

E allora, che le vecchie canzoni siano sepolte, abolite, punite.

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Un anno che lasci il segno

Un anno che lasci il segno

Un altro anno che si conclude entrando a far parte del ricordo, con la sua lista di fatti accaduti, di incontri e scontri, delusioni o gioie, di momenti indimenticabili e altri da dimenticare, parole dette o taciute, e chissà quando altro.

Si sommano, gli anni, forgiando ciò che siamo o ciò che diventeremo e dunque lasciando segno indelebile nella nostra vita. Ve ne sono di particolarmente significativi ma anche di scialbi e deludenti, ed io spero che il prossimo sia per voi l’anno giusto, quello che si ricorderà per sempre come il più importante, il più ricco di buone nuove e di cambiamenti tanto attesi.

Per me, il 2015 è stato una mescolanza di motivi di riflessione, nel bene e nel male.

Nel male perché purtroppo persone a me care fanno i conti con una salute ballerina e dispettosa… O, nel male perché, ancora una volta, mi sono scontrata con bassezze umane, con la pochezza di coloro che pur di raggiungere mete effimere non guardano in faccia a nessuno. Deludente, certo, ma non più sorprendente, e questo no, non è un bene. Perché bisognerebbe sorprendersi sempre, davanti alle meschinità, altrimenti si rischia di abituarcisi e indignarsi sempre meno.

Ma, ad avere occhi per guardarsi attorno, si continua a trovare sempre qualcosa di bello. Motivi di riflessione, ho detto, nel bene e nel male…

E, dunque, nel bene perché la mia vita si è arricchita di presenze importanti, di gioventù e vivacità contagiosa, di aria di famiglia, di calore e amore, di contatto umano che completa.

Nel bene perché continuo a sentirmi fortunata nonostante momenti difficili che nella vita si presentano a tutti, e nel bene perché ancora so ridere e provare gioia per le piccole cose. Nel bene perché coloro che mi circondano mi regalano tanto ogni singolo giorno, chi in un modo e chi in un altro, facendomi sentire fortunata.

Così, ogni anno e tirando le somme, preferisco ringraziare la vita per tutto il buono che continua a riservarmi, per gli abbracci che ricevo, per la voglia di fare progetti, per la convinzione che alcuni di essi andranno in porto, e per quell’emozione che ancora provo nell’osservare un cielo terso, o… nello scrivere un pensiero.

Che dire Amici miei, che il 2016 dia respiro a chi si è sentito levar l’aria, alleggerendo pesi e angosce, mantenendo invece intatta la gioia di chi bene ha vissuto fino ad ora.

Felice anno nuovo,

vostra Susanna

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Cosa siamo diventati, noi “adulti”?

23 aprile scorso, giornata mondiale del libro: utilizzarla per promuovere la lettura – io che leggo tantissimo e che amo scrivere – mi è parsa una buona idea. Mattina di sole, Roma mi sorride finalmente, impossibile stare a casa, no? Così, armata delle migliori intenzioni, decido di portare in giro qualche copia dei miei libri e di regalarne ai passanti con un sorriso e un “felice giornata del libro”. Un gesto gentile, simbolico, in una ricorrenza come questa.

Ed ecco che il tutto si trasforma in una indagine sociologica che mi ha lasciata a dir poco perplessa, e che vorrei condividere con voi.

 All’uscita di una metropolitana frequentatissima, io cammino per recarmi a un appuntamento e nel frattempo comincio la distribuzione a caso, tuttavia prediligendo chi – in mano – un libro lo ha già, perlomeno per avere la certezza di scegliere amanti della lettura.

Ebbene, i giovanissimi esultano felici, ringraziano e si aprono in sorrisi cordiali, facendo gruppo per sfogliare subito l’inaspettato regalo.

Gli “adulti”… Che è successo, agli adulti? Sì, noi adulti, e metto anche me nel mucchio perché non sono esattamente una ragazzina: che cosa siamo diventati?

Non appena porgevo loro il libro e sorridendo dicevo: “Un piccolo regalo per lei, felice giornata del libro”, istintivamente tutti  indietreggiavano di un passo, quasi a volersi difendere, e poi con espressione torva in volto dicevano cose come “No guardi, non è proprio il momento” oppure “No, non posso, mi dispiace” e ancora “No, lasci stare, non ho tempo” e poi il consueto “No, non mi serve niente”. Se notate, tutti esordivano con un no. No a un pensiero gentile, no a un regalo, no ad un gesto carino e simbolico. Io dicevo “non importa” e proseguivo rasserenandoli così sulle mie non malvagie intenzioni.

Tuttavia, a quel punto, ho continuato a fermare persone mature non tanto per masochismo quanto per comprendere se si trattava di casi isolati, o se mi trovavo davanti al comportamento abituale di coloro che gli “anta” li hanno superati.

Provate un po’ a indovinare? Nessuno ha accettato l’omaggio.

È questo dunque, diventar grandi? È diffidare sempre e comunque? È non accettare “caramelle” dagli sconosciuti? È non credere più che qualcuno possa compiere un gesto gentile senza chiedere qualcosa in cambio? È perdere totalmente la capacità di godere di una piccola cosa?

Funziona così solo in caotiche e aggressive città, oppure ovunque?

Quante cose vanno perdute, rispetto a quelle guadagnate, crescendo?

Con rammarico per tutti coloro che non sanno più dire grazie, vi lascio alle mie domande sperando che qualcuno abbia voglia di dire la sua. Un abbraccio per niente adulto,

Vostra Susanna

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