Susanna Trossero

scrittrice

Il mio fiore all’occhiello

Ultimo giorno di scuola, e l’aula si svuota dei sorrisi, delle condivisioni, delle mille idee e di tutta quella creatività e vivacità intellettuale che – ne sono certa – per molto tempo resterà nell’aria. E non saranno le finestre aperte sulla primavera a disperdere quell’immenso bagaglio che ho avuto l’onore e il piacere di respirare anche io.

Ogni luogo conserva un poco di ciò che lo ha abitato, delle storie che ha conosciuto, degli stati d’animo o dei sogni.

Sì, sogni. Perché chi scrive, è ancora capace di sognare.

Non si tratta del mero desiderio di una pubblicazione, io parlo di ben altri sogni, di qualcosa di molto più profondo che in qualche modo emerge da ogni pagina e che in ogni pagina resta per sempre, anche quando il sogno cambia o cambia chi lo aveva dentro di sé.

Non tutti siamo capaci di rileggere, dopo anni, ciò che anima e fantasia hanno regalato al foglio bianco: rivedersi nudi dopo esser stati capaci di rivestirci dell’armatura a noi più congeniale, significa non dimenticare. Ignorare. Fingere che mai sia accaduto.

È uno specchio, la scrittura: non sempre rimanda l’immagine che più ci fa star meglio. Ma quel non dimenticare è importante: non dobbiamo ignorare chi siamo o siamo stati poiché ci sarà sempre d’aiuto per comprendere appieno chi vorremo essere domani.

Di armature, in classe, ne ho viste cadere; volti e nomi grazie a ciò sono e saranno sempre in me tatuati.

Un corso di scrittura è anche questo: condividere parole che vanno al di là della carta e che neppure sono state realmente pronunciate né mai scritte.

È andare oltre le lezioni, gli esercizi, le correzioni, le risposte alle domande. È vivere mescolandosi agli sguardi e al mondo interiore di persone che speri di non perdere per strada.

È un fatto intimo che sebbene in parte diviene “pubblico”, intimità crea mentre le stagioni scorrono veloci fuori dai vetri.

Quando arriva l’ultima lezione, in me il ricordo della prima è ancora fresco: ciò significa che mi mancherete, ma a tutti voi – e mi rivolgo ad ogni classe – chiedo di non smettere di vivere in quell’angolo privato che necessita di tempo e spazio. Ne vale la pena, e credo lo abbiate capito ascoltandovi l’un l’altro, commuovendovi o divertendovi.

Suscitare emozioni è lo scopo e voi tutti, ognuno a suo modo, lo avete saputo fare.

Per me, siete già degli scrittori.

Il mio fiore all’occhiello che mai appassirà.

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L’attesa

L'attesa

Una nuova stagione ci ha raggiunti, e con essa le giornate si popolano di impegni e incontri, di motivi di riflessione o di insoddisfazioni di vecchia data. Il nuovo e il vecchio che si fondono, appunto, a creare movimento o fasi di stallo sotto gli alberi che si denudano.

Tra le buone nuove e le consuete incombenze, mi sono ritrovata ancora una volta in classe tra volti sconosciuti che via via diverranno familiari, grazie agli incontri settimanali che proseguiranno fino alla prossima primavera. Un gruppo “variopinto”, il piacere della scrittura che tutti accomuna, la curiosità, quel pizzico di pudore che pian piano vi lascerà in favore di una conoscenza più approfondita e di parole come condivisione e leggerezza.

Io spiego, voi mi ascoltate, ma ancora non siete consci di quanto mi arricchirete con il vostro stile fresco, le vostre parole raccontate sulla carta, i sogni nel cassetto o il desiderio di sperimentare.

Spero di trasformare questa vostra attrazione per la scrittura in urgenza, in necessità impellente, in qualcosa che divenga parte del quotidiano e riempia i vostri cassetti di fogli volanti, appunti, frasi sconclusionate. Che vi accompagni per molto, molto tempo, regalandovi suggestioni e facendovi vivere più vite.

Il nostro viaggio di sogni da sognare è appena cominciato, siete alle prese con la tastiera e un pensiero legato all’attesa. L’attesa che tutti ci accompagna, che ci accomuna o divide, che ci dilania o stuzzica.

L’attesa.

Questo il titolo del vostro primo esercizio di scrittura, questo il mio benvenuto, per dimostrarvi che sebbene l’attesa sia qualcosa che a tutti appartiene, può essere vissuta o raccontata in modi differenti. Aspiro al vostro con impazienza, restando anche io invischiata ne… L’attesa.

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Sognando di voi

sogni

Quanti strani sogni, popolano le notti di noi tutti. C’è chi non li ricorda, c’è chi li annota per non dimenticarli, c’è chi li teme o chi li attende con curiosità, così come al cinema ci si predispone alla storia dopo averne letto il titolo a caratteri cubitali.

Che cosa sogna, alla notte, uno scrittore? Quante volte in passato me lo sono chiesta, e mi affascinò sapere che molti dei racconti di Edgar Allan Poe scaturivano dai suoi incubi. E Bram Stoker, che scrisse la storia di Dracula dopo un brutto sogno causato da una indigestione di pesce!

Ma… e se invece di trarre ispirazione dai sogni per narrare storie sulla carta, accadesse il contrario, ovvero se i protagonisti dei romanzi vivessero poi nei sogni di chi li ha creati? Avrei voluto chiederlo ai miei scrittori preferiti, avrei voluto parlarne con Moravia, con De Laclos, Mc Grath, Josephine Hart, con Sartre magari o con autori più vicini a questi tempi ma, poi, ho capito da me, dopo una notte visitata da creature che nella realtà non esistono. Una notte e poi altre, e altre ancora. E così, ad oggi, i personaggi del romanzo prendono vita nel mio quotidiano fino a divenire reali e popolare il sogno.

Come fossero amici, si muovono autonomi e non più marionette della mia fantasia: agiscono, reagiscono, parlano, pensano, e a me non resta che far parte del gruppo come spettatrice incredula e non più burattinaio, mentre le panchine di Adele si moltiplicano per far posto a tutti gli altri…

Seppure senza volto, abbracciati da una nebbia che nasconde contorni e lineamenti del viso, mantengono la stessa personalità che io ho creato per loro, ma si ribellano alla mia fantasia, superandola.

Che peccato, al mattino dopo, non ricordare il sogno…

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Valigie vuote, valigie piene

valigie

Perché da ragazzi ci si sveglia a mezzogiorno come fosse un’esigenza fisica alla quale non ci si può sottrarre? Poi non è più così, tutto cambia insieme a un mare di altre cose. La crema ai fiori di pesco per sentirsi donna, i giochi per la via, i compagni di viaggio di un tempo andato che in tutti lascia un segno prepotente, in alcuni colorato di sole, in altri cicatrice profonda. Avevo appena lasciato Barbie e già mi preparavo a pensare e agire da adulta.

Ho addosso il sogno faticoso della notte, e mi sento come se non fosse ancora concluso, nel desiderio di tradurlo e nella frustrazione del non saperlo fare. Mi concentro per ricordarlo tutto, lo rivivo da sveglia affascinata da ciò che il cervello partorisce a nostra insaputa…

Sono in una strada assolata, alle prese con la preoccupazione di una valigia perduta; il contenuto non è poi così prezioso, ma il non sapere che fine ha fatto mi getta nell’ansia. Incontro una donna che ne possiede una identica: è la sola persona che percorre la mia stessa strada, non può essere una coincidenza, quella deve essere di certo la valigia che ho perduto. Ne nasce una discussione dove io mi agito e lei resta calma. Mi dimostra che il contenuto è del tutto differente da ciò che vado cercando, e non posso che arrendermi all’evidenza, ancora non del tutto convinta: non è la mia valigia. Ecco, così finisce il sogno.

Tiro su i cuscini e raccolgo il portatile da terra; poggiandolo sulle gambe lo accendo e mi appresto a vagare in cerca di risposte, benedetto internet.  Compiendo una breve ricerca, scopro che la valigia si collega al viaggiare della vita; il suo peso ne blocca e ne ostacola situazioni, ricordi, relazioni, progetti, e il suo contenuto rappresenta il proprio corredo personale di qualità e risorse interiori.

Pesi e zavorre della vita, insomma. Nel momento in cui i “bagagli” vengono visualizzati nei sogni, un cambiamento è in atto, ed il sognatore deve prendere coscienza di ciò che è parte di sé e che sta mostrando agli altri, di ciò che sta “portando a spasso” come una valigia.

E voi, che portate a spasso, in questo agosto vacanziero? Soltanto costumi da bagno e infradito, o anche i bagagli segreti del cuore?

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Bologna che trema

Non so bene se ciò che mi sveglia nel cuore della notte è una sensazione astratta o concreta. Mi strappa dal sogno e fatico a realizzare quanto ci sia di vero o quanto appartenga al mondo onirico nel quale navigo da poco meno di un’ora.

Serve la luce, dov’è l’interruttore? Ecco, sono sveglia, adesso sì, lo sono.

Ma il lampadario oscilla, la porta della camera sbatte contro lo stipite e sbattono le ante dell’armadio non mio, in questa casa che mi ospita tra il verde dei colli bolognesi: non è un sogno dunque…

La terra è cosa viva, respira, trema e inghiotte, risputa e ancora inghiotte. Non si ferma. Vibrazione interminabile, cupa come quel vago suono ovattato sotto i piedi. Vertigine, batticuore, e più tardi ancora e ancora, fino all’alba. I passeri che tacciono, non un alito di vento, ma comincia a piovere. Come sempre, del resto.

È viva, la terra.

Ti ascolto, respiro la tua rabbia, il tuo violento movimento che dal profondo affiora.

Non scappo, e tu mi lasci andare. Torno a casa.

Scopro soltanto più tardi che molti altri, la casa, l’hanno perduta.

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