Vorrei, vorrei… Non so cosa vorrei. Forse poter fare un’escursione nel passato con la leggerezza di anni in cui tutto è possibile e tutto incanta.
Una ragazzina al mare, dopo una giornata trascorsa a creare sentieri e canali, magari attorno a castelli di sabbia decorati da conchiglie.
Un padre ragazzino e non per età, piuttosto per fantasia ed entusiasmo, che si diverte con te come un fratello maggiore e adora passare le giornate libere sulla spiaggia, che non è mai stanco per il lavoro né pigro da voler stare sul divano davanti alla tv. Fuori c’è il mondo, ti educa agli odori e ai colori, alla vita all’aria aperta, ai panini buoni dopo l’ultimo bagno, ma anche allo spettacolo dei ciclamini nel sottobosco d’autunno, o alla pioggia che spinge le lumache a farsi vive con quelle antennine buffe.
Una madre che ama l’abbronzatura, curata e attenta all’aspetto, severa e ligia al dovere che per amore ti tiene sempre sotto l’ala nel timore che tu scappi via. Ti copre quando fa freddo, ti sfama perché tu cresca forte e sana, vigila sulle tue vulnerabilità e ti fa piccole sorprese ogni volta che va a fare la spesa: un giornalino che adori, il salame più appetitoso del mondo, il maglioncino rosso che avevi notato all’Upim, un nuovo cappellino per Barbie.
La madre, da figlia femmina, la contesti: il suo affetto ti pare una sciarpa troppo stretta, la sua protezione limitante. Non vedi oltre, non hai gli strumenti. Ma più spesso vedi la famiglia, gli abbracci costanti che la caratterizzano, l’amore tra tuo padre e tua madre, il rispetto e la cura.
Siamo tutti il prodotto di chi ci ha cresciuto, ne prendiamo pregi e difetti e sebbene siamo consapevoli che i genitori ci lasceranno perché fa parte della natura delle cose, li crediamo immortali. Poi un giorno ci ritroviamo a non poter più fare quella telefonata e una sorta di sibilo invade il vuoto. Sembra acufene, forse dovresti andare dall’otorino.
No, è proprio il suono del silenzio che si manifesta al posto delle voci amate. Non ti fa compagnia, contribuisce alla mutilazione.
E, finalmente, arriva in soccorso la scrittura. Di un blog, di articoli sul Natale per l’editore, di un nuovo progetto. Scrivere con una nuova foto sul tavolo, accanto al computer, che ti motiva: non è scrivere per dimenticare ma scrivere per reagire. Funziona, prende il posto delle parole con cui interagire con chi ti chiede come stai. Non sei ancora in grado di parlare di come ti senti, ma sai che chi ti conosce bene, chi ti ama o chi ha passato ciò che stai vivendo, non avrà bisogno di spiegazioni. E allora sì, per ora meglio scrivere.
A me stessa, a voi, non so dirlo. Ma lo faccio. Postando la foto più bella del mondo, emblema di ciò che mi mancherà sempre ma anche di ciò di cui sarò sempre grata.
Vostra Susanna