La cronaca che rende cupa l’aria tutt’intorno, che ingoia bambini e li risputa uccisi dal mostro, regalando dettagli morbosi e inutili ai telespettatori affamati.
La cronaca che mutila le giornate, che arricchisce in conto in banca di chi la racconta e distrugge chi ha perduto tutto, uccidendo per la seconda volta qualcuno che non era pronto a morire neppure la prima. E se si tratta di pazzia, allora siamo tutti impazziti, come topi chiusi in gabbie troppo strette che si scannano l’un l’altro senza più logica né alibi…
Che cosa è, la pazzia? Soltanto una violazione delle norme sociali? O un modo differente di vedere e affrontare il mondo? E dove comincia, la pazzia? Dove, la perdita dell’io che si muove tra situazioni e persone senza dare nell’occhio?
Alda Merini ha detto che “Di fatto, non esiste pazzia senza giustificazione e ogni gesto che dalla gente comune e sobria viene considerato pazzo coinvolge il mistero di una inaudita sofferenza che non è stata colta dagli uomini.”
Ci si destreggia per una vita intera a fingere la normalità che ci rende ammissibili ad altri, ma quale è quel campanello d’allarme che dobbiamo ascoltare prima che sopraggiunga il peggio?
La stanchezza, il tedio, sono accettabili e accettate; gli sbalzi d’umore accomunano tanti, plausibile l’isolamento e sopportabile un segno di stranezza che ci caratterizza. E allora?
Dove comincia il punto di non ritorno?
Un uomo sano di mente è uno che tiene sotto chiave il pazzo interiore. (Paul Valéry)
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