Susanna Trossero

scrittrice

Il giusto peso

on 8 Luglio 2022

Perché mai essere buoni a tutti i costi? Perché necessariamente politicamente corretti?

Perché mai indignarsi, inveire, reagire con veemenza, non è bene e bisogna contenersi anche quando è davanti a ciò che non è bene che mostriamo opposizione e giudizio?

I fratelli che hanno ucciso il giovanissimo ragazzo in un pestaggio immotivato, hanno avuto l’ergastolo. Ma nei social, accanto a chi esclama “buttate la chiave” sono apparsi in altrettanti a dire che si tratta di commenti incivili. Perché? Non li ha fatti uno psichiatra né un operatore di un istituto penitenziario il quale giustamente si soffermerebbe sulla rieducazione. Li ha fatti la gente comune, l’uomo della strada, quello ancora capace di meravigliarsi per una tale violenza. Per fortuna.

E ancora, quando si parla di femminicidi, capita di leggere che è accaduto perché lui l’amava troppo. Ma non dovremmo invece vergognarci di associare la parola amore a un gesto di inaudita violenza e prevaricazione?

Ho fatto due esempi che rappresentano al momento fatti di cronaca recenti, costantemente presenti sui media, ma potrei proseguire e ne troverei una infinità.

Ma non è più un fatto naturale eccedere nelle reazioni verbali quando qualcosa ci indigna? Quando istintivamente prendiamo le parti della vittima – la vera vittima – e ci sentiamo coinvolti, empatici, vicini?

Non amo l’istigazione all’odio che tutto peggiora, il facile inasprire delle situazioni, la violenza considerata lecita perché generata dalla violenza, no. Ma… vogliamo davvero disimparare a meravigliarci in bene e in male in nome del politicamente corretto? Ad esprimere disgusto, dissenso?

Scusate ma io non ci sto. Non posso. E non sono mossa dal rancore né dalla sete di vendetta quando mi unisco al coro di “buttate la chiave” per l’ergastolo dei “fratellini” che – come dice la loro madre – non hanno mica ucciso la regina. Perché so bene che rancore o vendetta non riporterebbero alla vita il giovane Willy. Ma sono indignata. E credo si debba in qualche modo ripristinare il timore delle conseguenze di ogni azione. Le conseguenze si devono temere, ma temere davvero.

Come un tempo, quando tutti – e si cominciava in famiglia, da ragazzini – le conseguenze delle azioni sapevamo quantificarle, le temevamo, le consideravamo “normali”. E nel momento in cui ci ritrovavamo a pagare un prezzo, eravamo pronti ad accettarlo e a non essere difesi proprio da chi ci stava insegnando a valutare il peso di ogni azione.


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