Quanti prigionieri, nel quotidiano. Quante sbarre, reali o immaginarie, circondano l’anima e la mente di noi tutti…
Chi è più capace d’essere felice di esistere? Semplicemente grato di un raggio di sole inaspettato, delle fusa di un gatto randagio, di una margherita appena nata che si fa strada a fatica in questa primavera capricciosa e fradicia. Chi?
Ho visto un uomo vestito normalmente, pulito e curato nell’aspetto, che fermava i passanti chiedendo una moneta per comprarsi il pane. Ho sentito di una splendida diciassettenne che si è uccisa perché troppo fragile. Ho provato la paura che si prova davanti ad un uomo armato di pistola che trema sconvolto e pretende l’incasso della giornata. Ho avvertito la luce ormai spenta di un’amica che sta perdendo il posto di lavoro e che non vede prospettive per un futuro meno incerto.
E ho visto la sofferenza delle mutilazioni, la paura dei cambiamenti, il dolore delle perdite, il male di vivere. Ho visto la paura di morire, in una corsia d’ospedale. Ma ho visto anche i ricchi annoiati, dondolare sulla loro assenza di stimoli. Ho visto una coppia in vacanza ricoprirsi di insulti al tavolo di un ristorante, davanti al loro bambino, dimentichi di lui e dei danni che stava subendo. E ho visto persone piangere per motivi reali e altre più fortunate piangersi stupidamente addosso senza alcuna vergogna.
Qualcuno, ancora, è capace d’essere felice di esistere? Qualcuno riesce a vedere oltre le immaginarie o reali sbarre della propria cella?
Poi, ho visto delle adolescenti che ridevano di un’anziana signora che si reggeva a fatica sul bastone da passeggio, là, sulla metro affollata e malferma. Curve, frenate, sbandamenti. L’ho aiutata a reggersi.
Erano comodamente sedute, le ragazzine nel fiore degli anni, e non le hanno ceduto il posto, domandando irriverenti e a voce alta perché mai avrebbero dovuto farlo. Lei, la vecchina, continuava a sorridere loro, ed io non capivo. Quando ho reagito a tanta maleducazione lei mi ha fermata con lo sguardo poi ha detto mesta “bambine mie, che ne sarà di voi fra qualche anno?” e non c’era sarcasmo nella sua voce. È scesa alla fermata successiva, salutando educatamente e mantenendo il suo sorriso amichevole. Non ho visto grate. Né quelle imposte dalla vecchiaia, né quelle regalate dall’amarezza.
Sì, qualcuno ancora c’è.
Condivido ogni tua parola, la sento mia e spero con te, Susanna, che qualche luce torni a illuminare gli occhi di chi non sa più vedere. E’ una testimonianza gentile e profonda, la tua, che vorrei fosse letta da molti, per non dimenticare mai che ognuno di noi è anche un “altro” per tutti gli “altri”,
Grazie Carla, qualcuno che non c”è più mi ha insegnato a trovare sempre una ragione per illuminarsi nel buio del quotidiano o dei problemi che ci affliggono. Può sembrare retorica forse, ma spero che moltri altri come te capiranno che non lo è. Un abbraccio
Prisioneros ….,creo que yo los llamaría en primera instancia rehenes para luego de pasada las oportunidades ya les daría el nombre de victimas de si mismas y el veredicto final seria “CONDENADOS”,quizás me paso de la raya….¿ verdad ?, es que lo veo desde el fin del mundo donde últimamente parece que todos se salen de protocolo; estoy casi segura que en todas partes de este mundo si nos permitimos sacarnos el vendaje de los ojos podemos observar a los que viven y a los que ” honran la vida para ser felices ” ; solo se necesitan unos minutos para verlo si es que estamos dispuestos a hacerlo.Puedo contarles desde mi lugar como la burla es producto de la ignorancia ,¿ y por qué digo esto? porque existen los desempleados que eligen serlo y tienen titulo habilitante de vagos que no quieren trabajar porque se conforman con un subsidio del gobierno y se burlan descaradamente de los que si lo hacen con mucho esfuerzo, pero estas personas educan con el ejemplo a sus hijos día a día en silencio.También puedo mencionar a los agricultores que después de una fuerte granizada pierden sus cosechas pero con gran voluntad y esfuerzo piensan que la próxima será mejor y dan tranquilidad a su familia y los políticos de turno que prometen ayuda que por supuesto jamas llega y mienten con total crueldad ,pero lo hacen de manera normal como si ya estuviera en su estirpe genética de funcionario corrupto .
No solo ocurren estas cosas,también puedo destacar otras ….; por ejemplo un motociclista que es asaltado de sorpresa en la calle y aparecen personas de la nada ofreciéndole ayuda y el vendedor de periódicos del pueblo que los martes y jueves abre su negocio mas tarde porque viene de su diálisis vital y todos los que buscan sus revistas le preguntan como le ha ido hoy, y los alumnos en la escuela que aprovechan las clases de deportes para burlarse con comentarios sarcásticos que superan la habitual ironía del adolescente del que es gordo,del que es lento,del que es punk,del que es gay , entonces en el momento justo aparece la voz de alto del profesor tratando de que reflexionen y al terminar el juego se olvidan de estos tontos prejuicios y piden disculpas con un arrepentimiento guiado. Cuantas cosas,acciones y gestos que nos lleva a decir : si,todavia hay alguien ,escondido,camuflado,maquillado o convencido que las rejas son para otros.
Provo a tradurre il senso – più che il dettaglio – del contributo che arriva dall’Argentina, per chi non comprendesse questa lingua:
“I prigionieri, ovvero gli ostaggi, o meglio le vittime di se stessi e dunque i condannati …
Se solo avessimo il coraggio di levarci la benda, potremmo osservare davvero la vita e onorarla, fino ad essere felici. Ci vorrebbero solo pochi minuti per farlo, ma bisognerebbe essere davvero disposti a
provare.”
Ci racconta, l’amico Git, dei politici, del mal governo, dell’incapacità del singolo a reagire ad una sorte cattiva ma provvisoria, se ci si rimbocca le maniche (perdere il raccolto dopo una grandinata pesante significa perdere tutto solo se non si ricomincia sperando in una annata migliore). E ci parla della sua indignazione davanti all’indifferenza della gente a gesti violenti che avvengono per strada, o contesta l’educazione all’inciviltà dei ragazzi, che con arroganza fanno sentire diverso il più debole e proseguono così ad alimentare ottusità, omofobia, ignoranza del mondo adulto. E conclude, Git, ricordando che queste stesse persone vedono le barriere come qualcosa che non gli appartiene. Il senso è dunque l’invito a reagire, a non piangersi addosso, a trovare la forza interiore e pratica per essere artefici del cambiamento, poiché la massa è sempre e comunque formata dal singolo individuo.