Susanna Trossero

scrittrice

Ripetizioni: una cura per l’anima

Un piccolo molo

Ripetizioni.

Di gesti, parole, azioni, fatti. La sveglia, la doccia, la colazione, rifare il letto, niente grinze. Il rumore della chiave nella toppa, l’aria fresca del mattino sul viso. I colleghi. Le occhiaie di uno, il trucco impeccabile dell’altra (e quanto ci metterà a costruire quella sua controfigura?). Lo sferragliare dei tram sulla via.

Gli odori. I sapori. Perfino i pensieri.

Ripetizioni.

Se solo ci fossero sinonimi e contrari anche per le cose della vita – di gesti, parole, azioni, fatti – invece che solo per le parole. Oh, quante sorprese ci attenderebbero, quante cose da raccontare.

Ripetizioni.

Nei piccoli centri non sono poi così male. Apri la finestra al nuovo giorno senza pensare al traffico né a quanto tempo ti ruberà. Spesso ti muovi a piedi, e per la pausa pranzo puoi persino azzardare due passi in riva al mare…

I colleghi a volte capita che siano stati i tuoi compagni di scuola, e per strada nessun tram: solo Lia che stende al sole gli asciugamani delle signore con i bigodini in testa, Fabio che porta fuori un po’ di merce ad attirare i clienti, Patrizia che scarica il furgone dei fiori. Profumo di pane appena sfornato, di cornetti e caffè, ma non di smog no, quello no. I saluti, i buona giornata, sorrisi, come stai?

I vigili urbani là non sono poi così cattivi che non c’è molto da fare, e il pesce è fresco, che se non lo è l’uomo del banco neppure te lo vende.

L’odore, al mattino, resta quello della scuola, anche se a scuola non ci vai più da una vita.

Alla sera, là sotto il monumento ai caduti, qualcuno improvvisa passi di danza sotto l’occhio vigile dei maestri che mangiano pizze al taglio, stanchi ma ancora incapaci di tornare a casa interrompendo condivisioni in musica.

Saracinesche che si chiudono, la luna che non ha né alte montagne né palazzi a nasconderla. Il maestrale che si placa ma tanto domani tornerà a bistrattare.

Ripetizioni, certo. E mentre ci vivi – nel piccolo centro – sono noiose. Non alienanti come in città, solo noiose. Se resti, lo sono.
Me se sei qualcuno che se n’è andato, se sei uno invece che per un poco ritorna, sono tranquillità. Balsamo. Necessità. Qualcosa che scopri tassello mancante in ciò che altrove hai costruito. La città ha confini di mattoni, d’asfalto, di finestre una sull’altra ma, in quel luogo differente, in quegli altri luoghi, i confini sono terreni brulli di campagna, cespugli bassi. E mare. Tanto mare. Un mare che ti resta dentro e che cerchi ovunque. Risacca, calma piatta o tempesta, purché sia mare.

Una ripetizione che aneli, sogni, ami.

No Comments »

Provincialismo o vita vera?

Strano, camminare per le strade di una città che da ben cinque anni mi ospita, e non incontrare mai amici o conoscenti; strano non sentire un ciao per le vie affollate del centro o mentre metto nel carrello i cestini di fragole in offerta, quelle rimpinzate di ormoni e fatte maturare per forza.

Facce nuove ogni giorno, in città, e se ne incontri una che ti pare familiare ti senti quasi fortunata. Se poi invece arriva addirittura un saluto, allora è un giorno speciale!

Cresciuta in una piccola cittadina di provincia, a sud della Sardegna, trovavo naturale il costante contatto umano. Così naturale da non farci più caso. Bisogna allontanarsene per comprenderne l’importanza e la bellezza: la città tende a isolarti, a rubarti il tempo, a  trasformarti in un anonimo volto tra tanti, e quei ciao per la via ti mancano, ti manca addirittura la noia, l’esser padrona del tuo tempo, la semplice vita di provincia, quella che tanto contestavi soprattutto in gioventù.

Quanto spesso si dà connotato negativo alla parola “provincialismo”?  Arretratezza, chiusura, banalità… è davvero soltanto questo?

Sciascia dice che

“Provincialismo non è il vivere in provincia, conoscere e rappresentare quella vita. È invece serrarsi nella provincia soddisfatti di quel modo di essere con regole e comportamenti, e senza guardar “fuori” con curiosità, a cercar stimoli, a conoscere. A Roma, Milano, Parigi, si può essere più provinciali che in Sardegna, Sicilia, Friuli.”

E avete mai letto Pavese? Ha scritto – fra le tante – una frase che io trovo bellissima e che mi fa pensare a ciò che provo quando torno a casa:

“Un paese vuol dire non essere soli, sapere che nella gente, nella terra, nelle piante, c’è qualcosa di tuo e che anche se non ci sei resta ad aspettarti.”

Dedicata a tutti coloro che, come me, hanno trovato altrove la vita che desideravano, ma che non dimenticano né sminuiscono la terra dalla quale provengono, le persone che ancora ci vivono e   l’accoglienza che queste a loro riservano quando vi tornano.

Grazie Amici miei,

Susanna

 

8 Comments »