Susanna Trossero

scrittrice

Se le madri fossero immortali…

Da giovani ci era impossibile pensare che anche le nostre madri lo fossero state. Immaginarle piene di sogni e progetti, magari alle prese con la prima cotta o tra gli amici, o magari pensarle a scrivere una pagina di diario, confidare un segreto a un’amica…

Ogni generazione si autoconvince di possedere in tasca ogni soluzione, di essere custode di verità assolute, di risposte ad ogni dilemma. Quanta presunzione…

Le madri diventano persone quando noi figli perdiamo l’arroganza della gioventù: in quel momento finalmente si rilassano, non devono più temere di non saperci guidare, attendere il nostro rientro per dormire finalmente in pace, oppure osservarci per capire se ci stiamo mettendo nei guai. Possono tirare un sospiro di sollievo, smettere di recitare la parte e deporre le armi della severità e delle regole a tutti i costi. Ed è proprio allora che le conosciamo davvero: in un dialogo tra adulti noi ci nascondiamo meno e loro ci ascoltano di più, senza timori. Ci si apprezza a vicenda, ci si abbraccia tra simili. Perché, che ci piaccia o no, noi alle nostre madri somigliamo davvero tanto, a volte troppo, non è vero? Le abbiamo combattute, ed ora che i ruoli si invertono e da figlie diventiamo noi le loro mamme, nasce una tenerezza nuova, mai provata in gioventù.

Cambiano tante altre cose, nel tempo… Siamo noi a domandare se hanno mangiato, se si coprono al freddo, se dormono a sufficienza. Siamo noi a spiegar loro come funzionano le cose, che cosa significa una frase, quanto tempo deve passare prima di far questo o quello.

E il loro calendario, una volta contrassegnato dai compleanni, ora è una tabella di medicinali da prendere, da non dimenticare!

Nasce una nuova forma di rispetto frammista a malinconia crescente, al timore di perderle, quelle madri che tanto criticavamo in gioventù. E se ritroviamo una loro foto, magari scattata quando avevano soltanto 15 anni, ci sembra incredibile che li abbiano avuti anche loro, tanto tempo prima di noi. E che fossero così belle!

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Un aldilà per i sentimenti

Oggi pensavo a chi passerà il Natale da solo. Ma non a chi ha subito mutilazioni a causa di lutti, bensì a tutti quelli che hanno perduto qualcuno in altro modo: la fine di una storia o di un matrimonio, un figlio che se ne va sbattendo una porta, una frattura in famiglia… Lutti anche questi, ma avvenuti non a causa del destino avverso. Lutti subiti o inferti, ma derivati da una scelta. Sentimenti che parevano tutto, trasformatisi in niente.

Dove vanno a finire i sentimenti, quando muoiono?

Nel pieno della loro presenza si mostrano forti, indistruttibili, avvolgono mente e cuore, capaci di farsi strada ovunque e contro ogni previsione… Cambiano la vita, i sentimenti, e se si è fortunati la rendono più ricca e degna di essere vissuta. Ai meno fortunati creano devastazioni interne, innescano battaglie, stravolgono convinzioni e razionalità.

Insomma, sono potenti, i sentimenti. E li si reputa eterni, mentre invadono tutto il nostro essere. Eterni, vitali. Diventano addirittura indissolubili da noi, bisogni impellenti che al solo pensare di doverne fare senza, soddisfatti o no che siano, ci manca l’aria.

Poi, e accade fin troppo spesso, per taluni muoiono. Una luce che si spegne, una presenza che diventa assenza, più niente.

Dove vanno a finire?

Nel ricordo, per alcuni. Conosco persone che non dimenticano mai ciò che è stato, a dispetto di come è andata a finire. Rammenteranno comunque le vibrazioni nello stomaco, il subbuglio nel quotidiano, l’abbraccio di una sorella, la risata di una madre, l’intimità di un’amicizia, o della volta che uno sguardo ha detto più di mille parole. E manterranno intatta la bellezza di quella forza prima che si trasformasse in qualcosa di blando, addirittura sgradevole. Prima che la luce si spegnesse.

Coloro che ne sono capaci, che sanno ricordare il bello, hanno un angolo del cuore in cui è sempre autunno, e sotto lo strato di foglie cadute custodiscono segretamente nomi e fotografie di volti indimenticabili e indimenticati, tasselli che compongono nostalgie e rimpianti. Malinconie piene di “se soltanto” e di “avrei dovuto” cementate dentro, in una stanza privata.

Per altri invece, spenta la luce tutto scompare come se non fosse mai avvenuto. Un nome che niente è più in grado di riesumare, un luogo speciale divenuto di nuovo e semplicemente un luogo. Una canzone le cui parole lasciano indifferenti o un profumo che non raggiunge la memoria.

É strano, anche amaro. O forse vitale. O magari addirittura normale.

L’irrequietezza dell’essere umano, spinge sempre verso nuovi sentimenti da sperimentare, nuove ascese che fanno dimenticare l’assenza di vere ali grazie alla capacità di riprendere il volo, sempre e comunque. A volte anche ridimensionando qualcuno di cui non si poteva fare a meno.

Oscar Wilde ha detto che “C’è sempre qualcosa di ridicolo nei sentimenti di chi non si ama più”. È così triste, così privo di rispetto per ciò che un tempo è stato, non è vero?

Chissà se c’è un aldilà per i sentimenti che muoiono. Se ci osservano da là prendendosi gioco di noi, degli abbracci sepolti, e di quelle eternità promesse e dimenticate o rimpiante.

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Io albero, tu terra…

Io albero, tu terra...

9 febbraio 2017, metà della mia vita trascorsa senza te.

Chissà se un giorno ci rivedremo…

Chissà se ci sarà un’altra vita, per noi due, dove amarci e completarci così come è accaduto in questa, per te troppo breve. Un’altra nella quale poterti raccontare quanto è stato grande il mio Amore per te. Una seconda occasione concessaci per far qualcosa l’uno per l’altro, anche se non più come padre e figlia.

Tu albero io pioggia, tu fratello io sorella, tu figlio io madre.

Io fiore tu terra, io stella che brilla grazie a te cielo.

Io la tua salute, o io il medico che asporta il tuo terribile male, ma questa volta salvandoti la vita, papà…

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La stanza

la stanza

Ti guardo dormire senza attendere un risveglio, mentre tende bianche svolazzano al rallentatore sotto i baci della calura estiva. Forse dovrei chiudere le imposte e interrompere il frinire esasperante di cicale inopportune, ma il mio corpo appesantito dai pensieri non vuole più saperne di muoversi.

E tu dormi, dormi ma non sudi e il tuo petto non si solleva né si abbassa in un ritmo da risacca così come forse dovrebbe. Che fare intanto? I pomeriggi estivi in campagna sono tutti uguali.

Sfioro le ragnatele dal soffitto con sguardo distratto mentre il ritratto di tua madre, che tutto osserva e tutto giudica, mi indispone come sempre… Perché appenderlo proprio là di fronte al letto? Quante sterili discussioni per quel chiodo di troppo e per i tanti ammuffiti cimeli di famiglia disseminati senza gusto in ogni dove. Qui far l’amore è sofferenza, è polvere e vecchiume che contamina ogni gesto e a che vale avvilupparsi di biancheria costosa se, andando via, ci si porta irrimediabilmente dietro indelebili tracce di antichi dissapori? Tuo padre è morto in questo letto, fra le braccia di una puttana senza nome, e tu è qui che adori morire fra le mie con rovinoso masochismo. Il tarlo irritante di un ricordo ti divora spesso l’anima distogliendola da me e io ti scruto nella penombra in cui da sempre vivi, chiedendomi qual è il mio ruolo in questa stanza di scrittoi e merletti d’altri tempi.

Sei pallido. I tuoi lineamenti non sono distesi benché neppure contratti; un fantoccio, ecco cosa sei, inerme e lontano da elucubrazioni terrene. Domani anch’io sarò lontana. Domani. Riesumerò i miei arcobaleni di un tempo, di quando vivevo alla luce e ridevo di niente in una casa piena di vita e vuota di te.

Amarti è incurvarsi a presidiare da invadenti scarafaggi il legno consumato di pavimenti putridi e io sento, in cuor mio, di poter avere altro un po’ più in là, dove tu non sei.

Mi alzo piano ma lo scricchiolio del letto non ti sveglierà più. Levo le mie impronte dal manico del tuo coltello da caccia e sorrido del tuo andare senza salutare. La macchia rossa sul lenzuolo che ti avvolge il corpo si è estesa a dismisura, colorando irriverente il bianco e nero del tuo mondo.

Almeno in questo ti trascinerò con me.

(Dalla mia raccolta “Nella tana dell’Orco”)

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