Fernando Pessoa ha detto che
“Scrivere è dimenticare. La letteratura è il modo più gradevole di ignorare la vita.”
Ma, benché io ami questo autore che con il suo “Il libro dell’inquietudine” mi ha spinta ancor di più verso l’onesta (e crudele) introspezione, non sono assolutamente d’accordo con questa sua affermazione. Non è forse, lo scrivere, un terribile strumento per ricordare? Non è forse, la scrittura, evocazione, proiezione del desiderio, ritorno del rimosso? In fondo, chi saremmo noi senza le nostre memorie, i ricordi, le nostalgie?
Quando scrivo un romanzo o un racconto, non scrivo di me né utilizzo la scrittura per condividere mie esperienze con il lettore, ma la fantasia che mi ispira è sempre impregnata di emozioni o sensazioni conosciute, riesumate dal passato se e quando il presente non ne offre di efficaci a cui attingere.
La paura, la gioia, le reazioni emotive dei miei personaggi, le attese o quel terribile senso di vuoto di chi ha smesso di attendere, il disagio o l’allegria, non sono che stati d’animo causati sempre da persone o circostanze, dunque fanno parte di noi. Ciò che siamo stati è all’origine di ciò che siamo, ed è più facile scrivere di qualcosa che si conosce o che si è conosciuto, anche se poi si inseriscono situazioni che non ci appartengono. Dunque scrivere non è dimenticare: scrivere è rielaborare, scomporre porzioni di verità da ricomporre con la fantasia, è digerire meglio ogni boccone amaro ma anche mantenere indelebile un ricordo che vorremmo mai ci lasciasse.
La memoria è una preziosa soffitta, per chi scrive. Un luogo sacro, nel bene e nel male, a cui far visita senza alcun timore e dal quale trarre nuova linfa. Quella stessa linfa che, se sincera e ben condita dall’immaginazione, avvince il lettore. Perché, accanto a dei libri che ci hanno lasciati indifferenti, ve ne sono altri che gustiamo avidamente come lauti pasti, e che stimolano le nostre papille gustative ad ignorare la possibilità di un’indigestione.
Gli altri, pagine senz’anima né dolorosi segreti, restano là in uno scaffale poco frequentato, dimenticati e silenziosi come scheletrici alberi senza foglie.
Sì mio caro Pessoa, il passato è linfa necessaria a far fiorire le storie, a renderle rigogliose e a far sì che proprio esse ci insegnino a non ignorare la vita.