Susanna Trossero

scrittrice

Il sottile confine tra giusto e sbagliato

Outsiders

Sto leggendo il testo di sociologia Outsiders di Howard S. Becker, perché mi incuriosiva approfondire il concetto di devianza.

In tutti i gruppi sociali – ci ricorda il saggio – vigono delle norme che definiscono i comportamenti giusti e quelli sbagliati, favorendo i primi e vietando i secondi. Outsider sono coloro che non vivono secondo queste regole.

Ciò che emerge da questo interessante trattato, è che non sempre tali imposizioni rendono chi non le segue un outsider: non riconoscendo la norma come giusta o valida, egli può ritenere un outsider il suo stesso giudice.

Ho riflettuto non tanto sulle norme considerate leggi, quanto sulle norme sociali intese come risultato di un consenso. Nel momento in cui si definisce devianza qualunque cosa si diversifichi dalla media, siamo nei guai: “In questo senso, essere mancino o avere i capelli rossi è deviante perché la maggior parte della gente usa di preferenza la destra”, e non sono tanti ad avere i capelli rossi!

In un paese in cui ancora oggi si pensa che l’omosessualità sia una malattia perché l’eterosessualità costituisce la norma sociale, mi domando chi sia veramente l’outsider.

Misurare un comportamento ha dato vita nei secoli a norme puritane o ipocrite che ancora oggi aleggiano in molti campi , dunque un atto sarà deviante o no in base alla reazione della gente.

“La devianza non è una qualità che risiede nel comportamento stesso, ma nell’interazione tra la persona che commette un atto e coloro che reagiscono ad esso”.

Ci sono libri che diventano finestre spalancate su circoli viziosi, ma quando li leggi capisci quanto sia importante guardar fuori grazie ad essi. Il ragionamento ci rende contemporaneamente giudici e outsider, ma credo fermamente che i due ruoli non siano opposti fino in fondo. Ci aiutano a comprendere, approfondire, completarci. E a smettere di sentirci scollegati dagli altri, verso i quali abbiamo perduto interesse reale. Dovremmo combattere le nostre crociate motivati non dai nostri concetti spesso deviati di giusto e sbagliato ma in favore del rispetto altrui. La libertà di ognuno di noi finisce là dove comincia quella dell’altro, ma in entrambe le posizioni non deve esistere prevaricazione.

Leggere per capire. Per rimettere in moto la capacità di giudizio e l’empatia. E, perché no, per diventare un Outsider.

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Sociologia? No, buon senso

Sociologia del buon senso

La sala d’aspetto di un medico: qualcuno sfoglia una rivista ormai datata, un ragazzo armeggia con un telefonino, una donna fissa un punto inseguendo qualcosa che agli altri è sconosciuto. Una nonna osserva il nipotino alle prese con un tablet, e quando solleva lo sguardo diritto davanti a sé, si accorge che un uomo di colore – forse quarantenne – sorride nella sua direzione. L’anziana donna, risponde a quell’atto di cortesia contraccambiando il sorriso e poi, facendo spallucce, dice all’uomo:

“Io, di queste cose non ci capisco niente… Giocavo a nascondino, io. Loro, i bambini, oggi sono più intelligenti, sviluppano più capacità, il loro cervello è già pronto per il mondo del lavoro!”

Non si tratta di una critica, bensì di ammirazione, ciò è palese.

L’uomo, senza perdere il sorriso, con evidente accento straniero ma con impeccabile proprietà di linguaggio, risponde:

“Anche io giocavo per la strada. Loro giocano con la mente, noi con il corpo e la psicologia. Per strada, il gioco era movimento, creatività, rapporto con gli altri, quindi formava il carattere, insegnava a vivere con le persone. Creatività, comunicatività, esercizio fisico, spirito di squadra, condivisione. Oggi il gioco li prepara al lavoro, sviluppa l’intelletto, ma manca di ciò che ti prepara alla vita e ai rapporti con gli altri”.

La donna intenta fino a poco prima ad inseguire privati pensieri, scrolla la malinconia e interviene:

“Ho un figlio piccolo e so bene che cosa devo fare: servono entrambe le cose. Lui sa usare meglio di me tutto ciò che ha una tastiera, ma passa delle ore a disegnare con i suoi amici, a correre al parco con il nostro cane, e fa amicizia con tutti. Siamo noi adulti che dobbiamo aprirci senza dimenticare niente. Il nuovo non deve fare paura, o cresceremo figli che non sanno vivere i grandi cambiamenti che li aspettano. Ma neppure cancellare il vecchio, o cresceremo figli che non sanno interagire con gli altri. C’è spazio per tutto.”

Sociologia dei processi culturali. A volte non servono testi specializzati né lezioni universitarie. Basta ascoltare la gente, osservare, riconoscere differenze e prendere possesso dei punti di vista altrui, valutarli, scomporli, per mettere insieme qualcosa che abbia in sé equilibrio e ci insegni a vivere non meglio dei nostri nonni ma in maniera diversa, più completa. Migliorare, senza privarci di ciò che di utile ci è stato insegnato. Aprire la mente senza escludere ciò che di buono dal “vecchio” ci giunge.

Io, che sono spesso poco attratta dal progresso, e lo vedo come un demone che mi destabilizza e mi minaccia, devo ammettere che il punto di vista della donna intervenuta per ultima nella discussione, mi ha colpita e affondata.

Mi piacerebbe conoscere il vostro punto di vista…

Nel frattempo vi lascio con il motto privato del grande Victor Hugo, il quale disse:

“Ecco il mio motto: progresso costante. Se Dio avesse voluto che l’uomo indietreggiasse, gli avrebbe messo un occhio dietro la testa. Noi guardiamo sempre dalla parte dell’aurora, del bocciolo, della nascita.”

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