Susanna Trossero

scrittrice

Soffrire per amore è fuori moda?

Secondo voi, i dolori e le pene d’amore descritti nei romanzi dell’800, sono ridicoli? Ci siamo affrancati da tali sofferenze?

“Cadevano” malati, svenivano per via dell’intensità di una emozione, si uccidevano o si affliggevano per interminabili notti e giorni… Erano davvero così diversi da noi, i protagonisti di quei romanzi?

Mi sto dedicando da tempo alla lettura o rilettura dei classici, e nella maggior parte dei casi incontro pene d’amore che non sento poi così estranee al 2021. Forse sono descritte in modo più coraggioso, un coraggio che oggi non si ha nel timore di apparire troppo ridicoli, ammettiamolo.

Mi piace pensare che il progresso non intacca la forza dei sentimenti: soffrire per amore non mi appare ridicolo ma umano, e se perdessimo questa umanità non saremmo più forti bensì più spenti. Il divampare di una passione, il senso della perdita, la mutilazione di un’assenza, la paura della solitudine o del tradimento, la ferita dei non amati o il patimento di un amore non corrisposto, sono emozioni che non passano di moda né appartengono a un tempo o a un paese. Sono parte dell’umanità, siamo noi, e il giovane Werther di Goethe che si nasconde in tutti implora di lasciargli quel poco spazio necessario a non vergognarci delle nostre debolezze. Perché…

“La fragilità del cristallo non è una debolezza ma una raffinatezza”. (Emile Hirsch)

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Soffrire per amore

Un certo sorriso

Giorni fa, per strada, ho incontrato un libro abbandonato al suo destino: Un certo sorriso di Françoise Sagan, edizione I Garzanti del 1966.

L’autrice mi è sempre piaciuta, me la fece conoscere una cara amica prestandomi Bonjour tristesse e Le piace Brahms?, nel tempo dei banchi di scuola, e anche stavolta ho letto il romanzo tutto d’un fiato!

Sulla copertina c’è scritto che si tratta di un sommesso e patetico racconto d’amore, e mi sono domandata quanti di noi ne abbiano provato uno…

Sommesso: il vocabolario dice “che mostra debolezza, umiltà, sottomissione”, ma è su “patetico”, che mi sono soffermata.

“La notte, la testa tra le braccia, schiacciavo il corpo contro il letto, come se il mio amore per Luc fosse stato una bestia calda e mortale che avrei potuto così, con ribellione, schiacciare tra la pelle e il lenzuolo. E poi la lotta incominciava. Il mio ricordo, l’immaginazione, divenivano due avversari feroci. Ciò che era stato, ciò che sarebbe potuto essere. E, senza respiro, quella ribellione del corpo che aveva sonno, dell’intelligenza che si disgustava”, racconta la protagonista del romanzo di Sagan.

Si dice di chi è patetico che sia piagnucoloso, imbarazzante, che mostra sentimentalismi e disperazione eccessivi, e così via.

Ma adesso, guardiamoci tutti allo specchio e neghiamo – se ne abbiamo il coraggio – di quella volta che proprio lo specchio rimandava una nostra immagine dimessa, sfatta, dagli occhi febbricitanti per il grande sconforto. Non è patetico amare, ma ci si sente patetici quando è qualcun altro a smettere di amarci. Un tradimento senza eguali.

Basta regaire, dicono le persone di buon senso”, ma sospirare e affliggersi è più facile, direi più naturale, perchè negarlo. Ve lo ricordate, quando vi è accaduto? Riuscite a rivedervi senza alcun imbarazzo?

Dovreste, perchè soffire per amore è cosa di tutti, anche dei più cinici che mai lo racconteranno ad anima viva ma che lo hanno fatto eccome!

Un medico, uno psicologo, spiegherebbero che il fatto di soffrire per amore va a risvegliare le stesse aree del cervello che si mettono in moto quando si prova un dolore fisico. Si può realmente provare un dolore localizzato simile a quello del cuore che si spezza. Insomma, il sistema nervoso centrale elabora nello stesso modo dolore fisico e psicologico. Dunque inutile vergognarsene, prima o poi passa, no?

Nel frattempo, possiamo tuffarci in dolori da romanzo, dove scrittori e scrittrici ci fanno sentire a casa, anche se meravigliosamente patetici.

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