Realizzare un’intervista con il proprio padre che non c’è più: conoscerlo così bene da immaginare le risposte, intuire lo stato d’animo, o immedesimarsi a tal punto da sentirlo realmente vicino…
Entrando nella piccola camera a due letti ho quasi il timore di profanare qualcosa e mi vergogno un po’ del mio registratore tascabile. L’aria è quella di tutti gli ospedali: malinconica, eterna, odorosa di disinfettanti e paura; il lento ciabattare nei corridoi, una tv a basso volume, le infermiere che si raccontano l’un l’altra della sera precedente, quella trascorsa fuori da là, magari con gli amici in pizzeria.
Lui sembra assopito, tanto magro da somigliare a un bambino. Molto presto non ci sarà più, non c’è più tempo.
“Papà, sei sveglio?” quasi sussurro.
“Sei tornata… sì, sono sveglio. Cos’è quello?”
Gli spiego che si tratta di un piccolo registratore, che serve per ricordare le cose.
“Ricorderesti comunque, la tua memoria è proverbiale!”
Sorride stanco, e gli chiedo se se la sente.
“Sì, ormai te l’ho promesso, no? Qual è il tema?”
Verità e menzogne… Glielo dico e mi risponde:
“Non è troppo complicato? Per uno che ha fatto solo le scuole elementari per colpa della guerra è già tanto capire quello che legge” e indica un quotidiano ripiegato sul letto. Sorrido pensando che è già menzogna, perché è lui – gran lettore – che mi ha insegnato a scrivere senza alcun errore quando avevo solo cinque anni.
“No, tu sei un genio papà… ma perché adesso, in questo letto, hai deciso di mentire con noi?”
“Le cose non dette, Susanna, sono più facili da ignorare. Non si tratta di vere bugie ma di omissioni: non si dice e non si nega. Quasi si dimentica”.
“Ti fa star meglio con te stesso?”
“Mi fa sentire ancora vivo. Non potrei sopportare di vederli qui tutti a provare pietà senza più curarsi di nasconderlo; di che si parlerebbe? Dovrei fare raccomandazioni, dare disposizioni, rassicurare. Te l’immagini? Io che già ogni sera, dopo che l’infermiera di turno mi rimbocca le coperte e cambia il flacone della flebo, gioco a scacchi con la morte illudendomi ancora di poter barare…”
“Eppure tu lo sai che noi tutti sappiamo…”
“Sì, ma non siete certi che sappia io, così continuate a recitare a mio beneficio e quasi ci credete, a questa mia imminente guarigione! È così bello sentirvi fare dei progetti che includono anche me e giocare al vostro gioco, mentre fuori piove e io frugo tra i miei ricordi per ritrovare quell’odore di terra bagnata che mi piace tanto”.
“Che cosa provi?”
“Stanchezza, rimpianto per le cose che non farò in tempo a vivere, per le persone che non avrò il piacere di conoscere, per le parole che avrei potuto dire e non ho detto. Anche paura… La paura dei vinti. È diversa da quella che provavo da bambino mentre Cagliari veniva bombardata. Quella è la paura di chi sa di avere una via di scampo ma non conosce la strada per arrivarci, la paura di chi vuole combattere per la sopravvivenza ma non ha certezze. A me, il cancro ha tolto quelle stimolanti scariche di adrenalina e in cambio mi ha dato certezze: non ho alcun dubbio riguardo al mio futuro. La guerra non ti toglie i sogni e le speranze, questo male invece sì e ti porta a mentire per avere l’illusione di sopravvivere da sano almeno un attimo in più”.
“Sarebbe meglio affrontarla e condividerla con noi, la verità… me lo hai insegnato tu, ricordi?”
“Sì, e voglio che tu lo tenga bene a mente. Io, la mia verità ce l’ho davanti, in un corpo smagrito, nei dolori che stanno aumentando, negli occhi arrossati di tua madre. In qualche modo, sottrarsi a questo non è sottrarsi alle proprie responsabilità: è cercare un equilibrio tra la sofferenza e il tentativo di non sciupare gli ultimi giorni mettendola al centro di tutto. Io credo ancora in ciò che ti ho insegnato, ora più che mai, questo tu lo sai non è vero?”
“Sì, lo so, così come so che se tu ti aprissi con noi potresti alleggerirti di un peso che invece ti ostini a portare da solo”.
“Punti di vista. Ricordati che ho poco tempo, e davanti ai miei conti alla rovescia mattutini, tutto assume una dimensione più vaga. Pesa molto di più non andar per funghi, non sentire il profumo dei sughetti di tua madre, non saperti serena per causa mia. Sarà più facile per tutti voi ricordare le mie fesserie, le battute divertenti, piuttosto che inutili e imbarazzanti piagnistei. E sarà più facile per me lasciarvi soli”.
“Che posso fare per te, papà?”
“Stai ancora registrando?”
“Sì”.
“Puoi ricordare questo: menti agli altri solo quando hai il coraggio sufficiente per affrontare la verità con te stessa”.
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