Susanna Trossero

scrittrice

Giuseppe Soffiantini: semplicemente un grande Uomo

Giuseppe Soffiantini e Susanna Trossero

Sovente, a dire di qualcuno che non c’è più “era una persona meravigliosa” si rischia di apparire banali, di usare una frase fatta e della quale si abusa, non è vero?
Ma oggi, sarò io ad usarla questa frase, e lo farò condendola di significato e sincerità per un uomo che ho stimato davvero tanto, e che ci ha lasciati proprio oggi, all’età di 83 anni  tra l’altro compiuti proprio nei giorni scorsi. Si tratta di Giuseppe Soffiantini, diventato personaggio pubblico suo malgrado il 17 giugno 1997, quando fu rapito nella sua casa di Manerbio e poi tenuto in ostaggio per ben 237 giorni.

Oggi, sui giornali lo si ricorderà per la sua lunga prigionia, per questo fatto di cronaca che lo vide protagonista, ma io voglio raccontarvi dell’altro su di lui, sebbene strettamente collegato a queste vicissitudini.

Di Giuseppe Soffiantini ricordo le parole di perdono, rivolte ai suoi rapitori. Non atti d’accusa, non rabbia: perdono. Questo mi indusse a pensare che il trauma subito lo stesse privando di lucidità, e ovviamente lo pensarono i più.

Ispirata da ciò, scrissi un racconto nel quale provai a immedesimarmi in lui e in ciò che poteva aver vissuto. Quel racconto fu premiato in un concorso letterario, pubblicato poi in una raccolta, ma ancora non aveva trovato la sua strada. Decisi quale fosse quando, dopo aver visto un’intervista in tv proprio a lui, Soffiantini in cui – oramai lontano da quei giorni bui – continuava a non esternare alcuna forma di rabbia o rancore. Pensai che io quell’uomo dovevo incontrarlo. Cercai su internet l’indirizzo della sua azienda tessile, e decisi di spedirgli il mio racconto che lo riguardava accompagnandolo con una lettera.

“Mi prenderà per una pazza mitomane”, mi dissi.

Giuseppe SoffiantiniMa non andò così. Mi contattò e volle incontrarmi a Roma, in un pomeriggio di grandi emozioni e di tante parole. Parlammo per ore, e finalmente compresi. Di quelle ore ho mantenuto vivo in me e sempre lo manterrò, un grande ricordo. Mi parlò con grande amore della sua famiglia, con stima e orgoglio dei suoi figli, con ammirazione e affetto dei suoi dipendenti, con rispetto delle forze dell’ordine, con dispiacere ma anche severità dei suoi rapitori dei quali diceva “sono sempre stati peggio di me”. Non si trattava di Sindrome di Stoccolma né mai li ha giustificati: Soffiantini era un uomo lucido, presente a se stesso, ma fermamente convinto che ognuno di noi possiede un suo lato buono da qualche parte. Lato che le circostanze o l’ambiente possono seppellire, diceva.

Decisi di intervistarlo per GraphoMania e tempo dopo ci incontrammo ancora, ma questa volta a Brescia, dalle sue parti, dove insieme a una mia cara amica volle organizzarmi un evento letterario in cui esternò pubblicamente cose bellissime sul mio scrivere, e neppure questo dimenticherò.

In quell’occasione mi regalò due libri. Uno è il diario del suo sequestro, che sebbene ad oggi fuori produzione vi invito caldamente a cercare e leggere (Giuseppe Soffiantini, Il mio sequestro, Baldini & Castoldi). Lo divorai in pochissimo tempo, e per ben due volte lo rilessi con la stessa avidità, scoprendo la sua umanità, le sue vulnerabilità e la sua grande forza sia fisica che interiore. Mi sentii onorata di averlo conosciuto, credetemi.

L’altro libro invece era una raccolta di poesie scritta da Giovanni Farina, uno dei sequestratori al tempo detenuto in un carcere di massima sicurezza australiano. Fu proprio Soffiantini a muoversi perché venisse pubblicato, e mi spiegò che la scrittura e la lettura possono aiutare anche il peggiore degli uomini a trovare in sé una via diversa, una visione diversa delle cose e del vivere.

“Scrivere o leggere sono attività che ci migliorano tutti Susanna, nessuno escluso. Anzi, forse sono proprio gli esclusi, i gravidi di colpe, i peggiori, che devono essere spinti verso queste attività”.

Il suo diario del sequestro così termina:

“Buonista è una parola che deve essere uscita durante l’anno che sono mancato. Buonista è la parola di moda, ma credo di capirne bene l’uso. Forse si riferisce al mio carattere paziente. Non ho mai litigato con nessuno. Se non mi strappano per i capelli, sono, come dicono adesso, un buonista. Vedo il bene nelle cose. E sono appena uscito da un oceano di malvagità”.

E ancora:

“Sul perdono privato ne parleremo a lungo. Ma sul perdono e sul castigo sociale, sulla questione della pena, chi ha procurato del male alla persona e alla comunità deve pagare, secondo le regole”.

No, non era un buonista, Giuseppe Soffiantini. Né la sua essenza era o mai sarà riassumibile con una parola, che sia o no alla moda.

Era, però, semplicemente, un grande Uomo.

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Buongiorno tristezza

Buongiorno tristezzaQuando per GraphoMania ho scritto il post su come e dove procurarsi libri a poco prezzo (vi consiglio di leggerlo), ero appena rientrata da Porta Portese, mercatino storico romano. Là, ho eletto a mio banco preferito quello di una gentile signora che vende tantissimi libri usati, ma in buono stato, a un euro soltanto. Si trova di tutto, si fanno dei veri affari, ma quest’ultima volta la scelta per me è stata dettata più dall’emotività: sono rimasta affascinata da un vecchio volumetto il cui contenuto mi ha catapultata in un’epoca lontana…

Me lo aveva prestato l’amica del cuore ai tempi delle superiori, garantendone la bellezza; avevamo gusti diversi ma quella diversità ha spesso trovato meravigliosi punti d’incontro, di quelli che restano ancorati alla memoria.

Così questo libro, che piacque alla Susanna di diciassette anni, si è ripresentato a me una vita dopo, addirittura nelle vesti della prima edizione di Longanesi del 1954: Bonjuour Tristesse, di Françoise Sagan.

Ricordo, di questo romanzo, le atmosfere indolenti e vacanziere, il sole caldo che leva energie, il dolce far niente non sempre noioso, il benessere economico dei personaggi principali… Uno stato di grazia frivolo e leggero, interrotto da improvvise e non contemplate gelosie e attrazioni che tutto trasformano e che rendono una trama avvincente.

Conflitti, si chiamano. In letteratura ma anche nella vita vera.

Lo rileggerò volentieri, questo libro che mi ha riportata indietro nel tempo ma che profuma di anni in cui ancora non esistevo, se non forse nelle intenzioni dei miei genitori, vista l’età dell’edizione che ho avuto la fortuna di trovare.

All’interno, una dedica vergata a mano, datata 1 gennaio 1955: “A Gianna con affetto, Anna”.

Chissà dove sono adesso, Gianna e Anna. Chissà se la loro amicizia ha retto durante il cammino verso il futuro. Chissà perché e come questo piccolo vecchio libro è finito sul banco di un mercatino.

Adesso è parte della mia libreria, a ricordarmi che non tutto cambia, che non tutto si perde con lo scorrere degli anni. Per esempio, la coetanea che mi propose questa lettura alle superiori è ancora l’amica del cuore, nonostante la distanza e i cambiamenti. Siamo due donne ora, e ancora parliamo di libri, ci scambiamo frasi che ci colpiscono, ci regaliamo o ci prestiamo romanzi quando in questi riconosciamo qualcosa che a una di noi due può appartenere.

Mi domando se Gianna e Anna sono o sono state questo o se il loro legame ha avuto meno fortuna del nostro, spingendole a dire in un giorno in cui l’estate torna e tradisce con i suoi ricordi:

buongiorno tristezza.

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Suggestioni d’autunno

Autunno

Autunno

Questo periodo dell’anno è per me tra i più suggestivi perché colmo di sottintesi. Può ancora far caldo ma l’estate è finita, e ce lo racconta il tramonto che accorcia le giornate, ce lo sussurra un giacchino sulle spalle alla sera, e le spiagge oramai quasi deserte mentre i corridoi delle scuole si affollano.

Le nuvole non sono le stesse dei pomeriggi estivi, e insinuano colori più tenui nel cielo privo di rondini. Gli odori impregnano l’aria di terra umida, d’uva appena raccolta, di funghi e di lunghi silenzi pomeridiani, le cicale ormai assenti. Le foglie ancora verdi godono degli ultimi sprazzi di vita preparandosi a cadere lente lente per tessere tappeti di ruggine… Ma c’è ancora tempo per i colori caldi, per le coperte o le finestre chiuse.

Un’atmosfera che non ha eguali, una mescolanza tra primavera e autunno, con l’estate che si avvia verso altri luoghi e l’inverno ancora lontano.

Si ha l’impressione che tutto stia per cominciare, ma di quel tutto non abbiamo che contorni ancora indecisi, sfumature. Progetti, buoni propositi, speranze, cambiamenti – a lungo rimandati perché il caldo leva energie, e poi ci sono le vacanze, e poi c’è ancora tempo – adesso ci aspettano al varco e chissà cosa accadrà…

Nel frattempo si può curiosare tra i libri che possediamo o in rete, per leggere suggestioni autunnali che abbracciano l’anima…

“In autunno tutto ci ricorda il crepuscolo,– e tuttavia, mi sembra la stagione più bella: volesse il cielo allora, quando io vivrò il mio crepuscolo, che ci debba essere qualcuno che allora mi ami come io ho amato l’autunno”. (Søren Kierkegaard)

Questa – ed altre ugualmente belle – l’ho trovata in un post non recente ma privo di data di scadenza, che vi invito a leggere.

Che l’autunno sia con voi mentre scrivete, mentre leggete, mentre vi guardate attorno, perché è il momento più ricco di malinconiche ispirazioni dell’anno: il sole è smarrito (diceva Cardarelli), un addio è là oltre i vetri di casa, struggente è il crepuscolo…

Coglietelo, quest’attimo, vi prego: troppo presto svanisce.

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Colei che finisce

A. Serrenti - S. Trossero, Il pane carasauQuanti sì e quanti no si fronteggiano, in tema eutanasia… Quante opinioni che reputo fuori luogo perché esternate da chi forse dovrebbe tacere almeno una volta, e quanti controsensi…

Nel lontano 2008, pubblicai il mio punto di vista sulle pagine di Graphomania, in un post dal titolo La sacralità della scelta , articolo di vecchia data che rappresenta tuttavia ancora oggi ciò che penso.

Arrivo da un’isola antica, nella quale l’eutanasia era praticata in tempi in cui – soluzioni di questo genere – altrove non erano neppure ipotizzate. S’Accabadora (dallo spagnolo “acabar”), ovvero colei che finisce, era una donna in genere anziana poiché sono gli anziani a possedere doti di giustizia e saggezza, la quale in un gesto pietoso poneva fine alle sofferenze di malati in agonia. La richiesta poteva giungere a lei dallo stesso infermo o dai suoi cari, ma non veniva retribuita poiché ciò sarebbe stato considerato sacrilego: si trattava di un gesto d’altruismo, di grande umanità, per il quale non potevano essere previsti compensi o guadagni, e questa figura femminile era degna del massimo rispetto, stimata da tutta la comunità. Sebbene antropologi (non sardi) continuino a sostenere che tutto ciò non sia mai avvenuto e che S’Accabadora non sia mai esistita, non è ciò che sostengono le testimonianze che ci giungono da diverse località della Sardegna, in particolar modo dall’entroterra. Per chi vuole saperne di più, vi sono saggi molto interessanti sull’argomento, io stessa ho citato questo fenomeno nel mio libro di prossima pubblicazione Il pane carasau, storia e ricette di un’antica tradizione isolana, Graphe.it, settembre 2014, grazie alla testimonianza raccolta dalla coautrice del libro Antonella Serrenti.

Ed è proprio di questi giorni la notizia dell’inizio delle riprese del film “L’Accabadora”, del regista sardo Enrico Pau, la cui sceneggiatura non è tratta dal libro di Michela Murgia “S’Accabadora”, così come lo stesso regista precisa nelle sue interviste. Si tratta di una storia totalmente differente, il cui titolo era stato depositato dal regista prima ancora che il romanzo vincitore del premio Campiello 2009 fosse pubblicato.

Oggi vi saluto con i bellissimi versi di Natale P. Fioretto, il quale ci mostra con grande e amara poesia l’ingrato compito dell’ultima madre…

“D’un ultimo abbraccio
Saranno vinte le mura
Del mio fragile vivere.
Estrema libagione
Fra i tuoi sensi funesti.”

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A chi mancherà il 2013?

A chi mancherà il 2013?

L’Epifania ogni festa si porta via… e c’è chi ha detto “era ora” o chi invece già rimpiange l’aver avuto l’occasione per riunirsi con amici e parenti. Ora c’è la dieta, il ritorno alla “normalità”, o il lasciarsi il vecchio anno alle spalle nella speranza di averne ricevuto in dono uno migliore. Mancherà a qualcuno, il 2013?

Io, del vecchio anno, voglio ricordare gli affetti più grandi che proseguono il loro cammino con me facendomi sentire al caldo, ma anche la nascita del mio romanzo Adele, nel gennaio scorso. Ho appena saputo che è stato menzionato in un testo scientifico di prossima pubblicazione, un regalo del nuovo anno e una soddisfazione non da poco! Tra i bei momenti del 2013 c’è anche la recensione più che positiva dell’Almanacco della Scienza del Centro Nazionale di Ricerca, ma degne di un ricordo incancellabile sono anche tutte quelle associazioni culturali che hanno accolto questo mio sesto libro e mi hanno ospitata per parlarne. Voglio ricordare anche la mia partecipazione al laboratorio di scrittura creativa della Rai, un corso durato ben quattro mesi durante il quale ho conosciuto persone deliziose che spero di non perdere per strada. E voglio ricordare il mio incantevole viaggio in Argentina, di cui ho scritto su GraphoMania, viaggio che mi ha anche fatto incontrare persone adorabili. Oppure l’invito di tv2000, che mi ha ospitata più volte per parlare di scrittura e della bellezza delle lettere, o quello di Rete Oro, e il seminario di scrittura che ho tenuto gratuitamente a Roma, che mi ha fatto conoscere allieve di grande talento. Voglio inoltre ricordare il piacere provato quando la rivista internazionale Writers Magazine ha pubblicato alcuni miei articoli.

E restano con me i volti, i sorrisi, gli abbracci, i libri letti, regalati o ricevuti…

Non so se dimentico qualcosa di questo vecchio anno appena volato via, ma so che mi porto tutto dentro e che quel tutto può far sì che il brutto o lo sgradevole in cui posso essermi imbattuta – come tutti – venga accantonato. Auguro lo stesso a voi, perché l’arte di vedere il bicchiere sempre mezzo pieno vi accompagni nel quotidiano. Ricordate: il bello deve ancora venire!

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