Susanna Trossero

scrittrice

La malinconia dei tonni

on 8 Maggio 2012

Avete mai visitato una tonnara? Io sì, qualche anno fa: si tratta della vecchia tonnara di Portoscuso, in Sardegna (nel territorio del Sulcis-iglesiente), oramai in disuso ma di importanza storica e impregnata di respiri affaticati d’uomini e di animali. Là, strane barche nere, vecchie mura, il sibilo del vento e l’odore di salsedine, mi hanno lasciato uno strano senso di inquietudine che mai ho dimenticato. Vi era qualcosa di lugubre, e la mescolanza del sudore degli uomini con il sangue dei tonni, confonde le idee sul giusto e l’ingiusto, così come spesso accade in altre svariate situazioni dove il cruento è di casa.

Quando la Pettirosso Editore mi ha chiesto di partecipare all’antologia Fantasulcis, una raccolta di racconti ambientata nei comuni di quella zona e scritta da autori appartenenti allo stesso territorio, ho subito pensato a quella vecchia e antica tonnara, a ciò che vi ho respirato, e così è nata la mia storia intitolata I Tonnaroti, nella quale ho fatto incontrare due personaggi differenti e per radici e per cultura: un vecchio isolano, pescatore di tonni, e una giornalista “continentale”.

Quello dei tonnarotti è un lavoro manuale molto duro e faticoso, con il mare non sempre clemente e con le condizioni meteorologiche spesso avverse; un lavoro che viene svolto sia in acqua che in terra e che dura molto di più del tempo della mattanza. Come potete vedere dal titolo citato, benché sui dizionari il termine Tonnarotti sia presente con la doppia T, io ho preferito il modo più gergale “tonnaroti”, utilizzato anche in Sicilia, perché mi pareva più appropriato alla storia.

Se vi capiterà di leggerla, spero ne apprezzerete la vaga malinconia che la avvolge e che avrete un pensiero gentile per i tonni, nonché uno di comprensione per coloro che – con la mattanza – hanno sfamato intere famiglie.

Vi lascio con un piccolo brano tratto dal racconto:

“Un sussurro, forse il vento che si alza, a ricordarci che siamo in terra sarda. Può parlare, il vento? Può trasportare parole mai udite prima e pronunciate altrove? Amusciela… da dove proviene questo strano termine? Stava nascosto in chissà quale antro della mia memoria? È un grido lontano, come quelli delle madri che nei quartieri popolari chiamavano i figli per strada, per farli tornare a casa. Ma qui non sento Luca, Paolo, è pronta la cena! così come accadeva da bambina, quando i giochi si svolgevano per la via e non al computer, no, è qualcosa di più perentorio.

Amusciela, e ho di nuovo le mani bagnate. Poso le labbra sul palmo della mano aperto, quasi lo bacio: sa ancora di sale.”

 


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