Sette anni di incontri e di libri presentati, di volti sconosciuti o familiari, di parole a raccontare dei perché e “per come” di questa o di quella storia, ma la domanda si ripete spesso e rivela una comune perplessità: “Come fai a raccontare ciò che non conosci?”
E non importa da chi è formulata, giacché l’ho risentita anche ieri, ad una presentazione non mia; Carla Vistarini, che – tra le tante cose che hanno lasciato il segno – ha scritto canzoni indimenticabili e un’infinità di testi per trasmissioni televisive di successo, parlava ieri del suo romanzo appena nato Se ho paura prendimi per mano (edizioni Corbaccio), a un pubblico curioso e attento del quale facevo parte, quando la signora Rita Dalla Chiesa le ha posto con autentico stupore e ammirazione, la medesima domanda, ovvero come fai a scrivere di cose che non hai vissuto, che non conosci.
La risposta è stata tra le migliori da me udite: “Io amo la gente, la osservo, la ascolto…”
Quanto avrei voluto alzarmi in piedi per associarmi a quella risposta! Se non ti guardi attorno, se non osservi, se non ascolti, se non vivi ciò che attorno a te vive, e soprattutto se non cerchi di immedesimarti nel punto di vista altrui e di sospendere il giudizio, non puoi dar vita a personaggi che divengano persone.
In agosto, un’attempata signora mi ha domandato con tono quasi risentito come io abbia fatto a scrivere Adele dando voce a dubbi, crisi esistenziali e intime paure dell’anziana protagonista.
“Sei molto più giovane di me – ha insistito – come puoi conoscere certe cose, se ancora devi viverle?”
Forse è un dono, il provare empatia per ogni essere umano, forse è un dono l’avere fantasia o forse lo è il far proprie le storie che ci passano accanto, il non ignorarle, non so. Io, nei miei racconti o romanzi, sono stata la voce narrante di uomini e donne, di adulti e bambini, di assassini o di persone capaci di provare un odio feroce, di altre con turbe terribili o di un angelo dall’anima pura… Sono stata la vittima di un sequestro o la voce di chi vende il proprio corpo, un barbone o una vedova, e sono stata madre, sebbene io madre non sia. “Nasciamo tutti genitori – ha detto ieri la signora Vistarini – e non importa se lo diventiamo o no, lo siamo comunque”.
Scrivere è vivere un’infinità di vite, nel bene e nel male, è non fermarsi mai alle apparenze, è non stupirsi di nulla, è cercare sempre e comunque di comprendere le azioni o reazioni altrui anche quando non ci appartengono, o quando non le condividiamo.
Scrivere non è per chi galleggia indolente sull’acqua senza porsi domande: è per chi osa trattenere il fiato per raggiungere il fondo, desideroso di scoprire che cosa si nasconde tra la sabbia o le rocce sommerse…
E adesso vi lascio, devo leggere il romanzo di Carla Vistarini!
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