Si attendeva d’essere migliori. Si contavano i morti come in battaglia e si diceva “tutto questo domani ci renderà meno distratti, più vicini gli uni agli altri, più attenti al prossimo e con il rinnovato piacere – o la scoperta – per le piccole cose”.
Io mi domandavo: perché non cominciamo subito, ad essere migliori? Perché attendere sempre “domani”?
Forse dentro di me la risposta l’avevo già. Sapevo. Sapevo che il piacere delle piccole cose e della vicinanza con gli altri lo devi avere dentro, e se non lo conosci non è una pandemia a risvegliarlo. Perché non è sopito ma spesso solo assente, sconosciuto. Chi lo aveva, chi lo provava o conosceva, lo ha custodito e protetto in attesa della “normalità”.
Tutto qui.
A distanza di poco meno di un anno e mezzo dall’inizio di questa guerra al virus degna di un romanzo di Stephen King, non siamo migliori affatto, e la “normalità” è ancora miraggio.
Adesso sui social ci si insulta per il green pass, non vax VS pro vax, e ci si deride, ci si offende, ci si minaccia, o ci si banna. Perchè adesso funziona così: se non voglio frequentarti ti banno. Ti dimostro che posso cancellarti, che per me non esisti.
“Chi non è favore del vaccino, chi non vuole vaccinarsi, non è più il benvenuto nella mia bacheca”. O, all’opposto: “Chi posterà commenti osannando il green pass non sarà accettato tra i miei amici!”
Fazioni. Trincee. Da entrambe le parti. Dunque è così che siamo diventati migliori. Eppure, eliminando fanatismi o pseudo ribellioni al sistema che “ci rende schiavi” (sento queste frasi dagli anni ’70), tutti gli altri sono spinti dalla medesima molla: la paura. E allora dove sta la diversità, dove il nemico, perché la rabbia?
Siamo uguali, facciamocene una ragione e deponiamo le armi. La paura ci rende simili, deboli, ma costruisce l’inutile forza per aggredirci l’un l’altro.
C’è chi ha paura del vaccino: è vero, non sappiamo molto sugli effetti che potrebbe produrre nell’organismo domani. Paura lecita. C’è chi, all’opposto, ha paura di non vaccinarsi: il Covid incombe, abbiamo perso i nostri cari, alcuni morti da soli, in casa, altri si stanno sottoponendo a rieducazione dopo intubazioni troppo lunghe, altri ancora descrivono calvari da terapia intensiva. Paura lecita.
C’è chi ha paura di essere contagiato da chi non ha paura del contagio, e c’è chi ha paura d’essere un esperimento per le case farmaceutiche. Paura, sempre paura. Che anziché accomunarci tutti, tutti ci allontana. Magari rendendoci anche sciocchi, basta leggere i pesanti insulti da entrambe le parti a entrambe le parti rivolti.
Poi c’è anche dell’altro: “Il green pass è un organo di controllo”. Ho letto anche dei paragoni con la stella degli ebrei. Hitler è stato riesumato. E ancora: “Il green pass ci rende schiavi, burattini, spiati e pilotati”.
Il telefonino, l’essere sempre in rete, il tracciamento, le mode, le indagini di mercato, la geolocalizzazione, i social, i movimenti con bancomat e carte di credito, i biglietti nominativi dei treni… e poi è il green pass che ci rende schiavi o controllati?
Ma giù manifestazioni come se piovesse: contro lo stato padrone, centinaia di persone si accalcano nelle piazze senza più proteggersi, altrimenti che ribellione è?
Da millenni, la paura che dovrebbe fungere da “strumento” di protezione, diventa in realtà il nostro peggior nemico levando lucidità, capacità di discernimento.
A chi dice “sei vaccinato, perché temi chi non lo è se credi nella tua scelta?”, vorrei rispondere che il vaccino non è la bacchetta magica, ma un’arma che ci aiuta nel proteggerci ed ha un margine di rischio più o meno basso ma esistente. E allora, tu che non sei vaccinato, sei il margine di rischio per chi al vaccino si è sottoposto. Allo stesso modo, chi è vaccinato non è con gli insulti che annulla negli altri la paura di un vaccino appena nato.
Siamo tutti sulla stessa barca, accomunati da timori e perplessità che tuttavia ci rendono nemici.
Non importa come la penso io: a fare ciò che reputo giusto per me nessuno mi ha convinta né io devo convincere nessuno. Ma non vogliatemene se vivo in pace anche in tempo di guerra: forse non sono un buon soldato, ma si può non esserlo e al contempo non sentirsi sudditi.