La pioggia che batte martellante sui vetri, il vento che l’accompagna strattonando le poche foglie rimaste sugli alberi, la terra fradicia che si trasforma in fango, l’aria profumata d’inverno, e un libro. Ma non un libro qualunque, no: una storia che ti assorbe, che ti cattura in reti annodate da strane logiche in grado di imprigionarti, e tu – pesce fuor d’acqua – boccheggi domandandoti se quella logica così ben costruita potrebbe diventare la tua…
“Tu mi accusi di cattiveria, ma ti sbagli. Vedi – e assumeva la pedante tolleranza d’uno che cerchi di convertire l’altro alla sua causa – la cattiveria, se proprio vuoi chiamarla a questo modo, non ha come scopo in sé il male altrui, piuttosto il nostro godimento. Per esempio, come senso della nostra potenza, o come sentimento di vendetta, o come una più forte eccitazione nervosa; e non sono io a dirlo, lo ha scritto proprio Nietzsche. Riflettici, ti prego: se in genere si ammette come morale la legittima difesa, allora si devono ammettere come legittime e morali anche tutte le manifestazioni del cosiddetto egoismo immorale, mi segui?”
Non lo seguivo, per la verità: ero frastornato, turbato, intimorito – è la parola- da quel suo sguardo lucido e febbrile.
“Insomma – continuò – fare il male intenzionalmente, quando si tratta della nostra esistenza o sicurezza, viene concesso come morale, no? Ma allora non ci può essere immoralità quando si compie un male non intenzionale. Perché si sa mai pienamente, forse, come faccia male a un altro un nostro atto? Nel compiere il male come semplice cattiveria, come tu la chiami, il grado del dolore prodotto ci è in ogni caso ignoto: ma in quanto in quest’azione c’è piacere, il fatto avviene per conservare il nostro benessere e quindi, sotto un certo aspetto, rientra in un ambito assai simile a quello della legittima difesa.”
Michele Prisco, Gli ermellini neri, Edizioni Bur
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