Si dice che non è ciò che leggiamo a raccontare almeno in parte chi siamo, bensì ciò che rileggiamo, e credo sia vero… Voi avete un libro che riaprite volentieri di tanto in tanto? Io, per esempio, considero un testo da consultare la raccolta di riflessioni di Pessoa intitolata “Il libro dell’inquietudine”. Pensieri privi di un filo conduttore, a volte fin troppo cinici altre pessimisti, ma spesso impregnati di poesia pura o rivelatori di grandi verità, che tengo sul comodino e mi accompagnano in serate particolari, quando sento dentro una gran voglia di scrivere, una volontà di creare ancora astratta che necessita della giusta spinta: ecco, Pessoa è questa spinta, lo è spesso, perché mi avvolge con le sue introspezioni lasciando emergere dal nulla le mie, e allora basta una frase, una pagina aperta per caso, l’evocazione di qualcosa che mi sonnecchiava dentro, ed eccola l’idea!
“Ci udiamo, ma ognuno ascolta la voce che è dentro di sé.”
Mi capita, seppure più raramente, di riprendere in mano anche “La nausea” di Sartre. Un libro certamente pesante, lento, da centellinare perché solo prendendolo a piccole dosi si è in grado di apprezzarne quella vena malinconica, il “difetto d’essere”, che è poi ciò che genera la nausea.
“Se soltanto potessi smettere di pensare… se solo potessi trattenermi… ma anche pensare di non voler pensare è un pensiero. Il mio pensiero sono io, ecco perché non posso fermarmi, e il pensiero da me alimentato si ingrossa e rinnova la mia esistenza. Mi costringe ad esistere.”
È un romanzo per la maggior parte descrittivo, un diario che elenca ciò che accade nel quotidiano anche quando – in verità – non accade niente, ma Sartre è in grado di raccontare l’odore dell’aria, il colore di un pensiero, di mostrarlo come fosse una fotografia. Pagine e pagine impregnate di malessere, ma anche questo è un libro che insegna a scrivere, di tutto e su tutto. E a esistere.
L’esistenza si nasconde. Non la si tocca.
Studiava e ritraeva se stesso per poter osservare le differenze che il tempo, gli anni, gli lasciavano addosso; spiava il suo volto cambiare, impoverirsi o arricchirsi a seconda del suo stato d’animo, del suo vissuto, dei tormenti, delle ossessioni, dei desideri e delle pene, e sosteneva che “l’uomo è condannato a essere libero, e ciò non può che generare un senso d’angoscia.” Pensate che questo grande della letteratura, nel 1964 rifiutò il premio Nobel!
Quale incredibile fonte d’ispirazione sono, i libri, quale grande e completo universo in cui muoversi mai sazi a cercare qualcosa che ci appartiene…
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